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La maternità non è sempre una guerra come vogliono farci credere

Potresti perdere il lavoro, subire mobbing, essere considerata un parassita o una privilegiata, potresti non “guarire” mai fisicamente o psicologicamente, soffrire di depressione e essere colpevolizzata per questo, perdere tutte le tue amicizie, i tuoi hobby e le tue passioni, restare sola, essere giudicata per ogni tua azione, diventare povera, separarti dal compagno.

Ecco, in estrema sintesi (se scendiamo nello specifico troveremo anche l’esaurimento, la scoliosi, i capelli sfatti, il litigio con nonni o parenti, la perdita di ogni autonomia, il pisciarsi addosso) lo scenario apocalittico del diventare madre in Italia presentato qualche tempo fa in un articolo apparso su The Vision dal titolo (che poco ha a che fare con temi di welfare “SE VUOI DIVENTARE MADRE IN ITALIA DEVI ESSERE PRONTA A RINUNCIARE ALLA TUA LIBERTÀ”). Potresti anche subire un incidente d’auto, no? Un furto, uno tsunami, un terremoto. Un secondo figlio dopo il primo? Giammai! L’Armageddon della maternità.

Certo, lo scrivevo anche io due anni fa: Quando decidiamo se fare o no un figlio siamo in tre, io, te e lo Stato. Che paese è un paese nel quale il tasso di natalità continua a diminuire e le politiche sulla genitorialità a latitare? Un paese misero, ingrato, rivolto al passato nel quale i progetti di vita di uomini e donne sono accantonati e messi al tappeto dall’assenza di politiche sociali che si fa, paradossalmente sempre più presenza, criterio determinante in scelte personalissime. Gli interventi operati sono una tantum e non strutturali (si pensi ai bonus nido o bebè che hanno certo un ruolo emergenziale importante ma che non possono da soli migliorare il dato sulla natalità).

Considero non importante ma importantissimo parlare delle difficoltà, dei servizi che non ci sono, degli asili che mancano o costano troppo, dell’assenza di rete e di supporto, delle donne e degli uomini che non possono diventare genitori per tutte queste ragioni.

Può succedere che, durante il travaglio e il parto si subisca un episodio di violenza ostetrica, che si abbia una forte depressione post partum, che non si trovi un posto al nido o si venga discriminate sul lavoro. In Italia il lavoro lo si perde o lo si “lascia” di frequente dopo la maternità, lo dicono le statistiche. L’Italia non è un paese per mamme (e per donne, diciamolo a gran voce noi mamme che ci beiamo di appartenere ad una specie protetta in via d’estinzione) ma questo articolo ci vuol far credere che le donne non siano un luogo per la maternità. Lo possono essere e anche felicemente. Lo possono e non lo devono essere. Possono essere libere di essere madri senza che ci sia necessariamente del tragico.

Oppure il problema maternità da sociale diventa individuale? “Quello che snerva i genitori – dice l’articolo- sembra essere l’ansia di non riuscire a fare tutto ciò che vorrebbero fare nel tempo che gli resta a disposizione, la “time pressure”, e dalla mancanza di una parentesi di silenzio in cui pensare solo ed esclusivamente a se stessi, o ancora meglio non pensare a niente, quello che viene chiamato “me time” e che secondo una ricerca del 2014 si aggira intorno a poco più di un quarto d’ora al giorno”. Clamoroso al Cibali! I genitori non hanno tempo! Quindi se volete tempo non fateli questi benedetti pupi o vi ritroverete direttamente sul set di Motherhood con Uma Thurman. Con capelli sporchi di pappa e abiti che sembrano scelti a caso dal polpo Paul in persona, isolati dal mondo, donne che non possono prendere un caffè con un’amica (10 minuti), guardare un film con il marito, sedersi a tavola per una cena veloce invece di rimanere in piedi mangiando direttamente dalla pentola incrostata perché l’avranno dimenticata sui fornelli. Madri che parlano solo di maternità perdendo ogni contatto con il mondo – spoiler – i genitori hanno anche altri argomenti oltre i figli.

Due cose voglio dirvi e voglio dirle alle non mamme, alle future mamme, alle neo mamme, alle donne. La prima è che se ne esce, intendo dalle grandi (è innegabile) difficoltà dei primi anni se ne esce. Ne verranno delle altre com’è in tutti i ruoli che ricopriamo nel corso della nostra esistenza: figlie, sorelle, amiche, compagne, lavoratrici. Si tratta “semplicemente” della vita, salite, discese, curve, tratti dritti in cui si può sbattere contro un muro o godere della corsa a perdifiato.

Quando sono diventata mamma per la prima volta avevo appena compiuto 27 anni, i primi mesi di vita di Niccolò non sono stati semplici, vivevo lontana dai miei genitori in una città dove mi ero trasferita da poco e dove non conoscevo nessuno, Simone trascorreva le sue giornate al lavoro, le mie amiche erano tutte giovani, senza figli e impegnate in ufficio e io come occupavo il tempo? Abbrutendomi! Sostenevo di non aver tempo di fare una doccia, lavare i capelli, depilarmi, leggere un libro, invitare gli amici a casa per una pizza. Eppure mi dovevo semplicemente occupare di un neonato e sottolineo semplicemente perché, a pensarci adesso, mi fa sorridere quanto un neonato fosse semplice da gestire. Vestirmi in modo decente e non con pantaloni o t-shirt informi mi costava una fatica enorme eppure tutti i vestiti erano nello stesso identico armadio, l’abito carino a pochi centimetri dalla vecchia maglietta del concerto dei Litfiba che consideravo perfetta per l’allattamento. Grazie al cielo arrivò, puntuale, il cazziatone di mia madre che, un giorno, guardandomi in controluce, si accorse di una depilazione non proprio perfetta sul viso. “Non mi dire che ti stai abbrutendo! (mia madre è una persona acqua e sapone, non le interessa particolarmente l’estetica, non si trucca, non mette creme, non fa shopping, quel suo “non abbrutirti” più che un consiglio estetico era un sii presente a te stessa). Peraltro, giusto per rigirare il coltello nella piaga della disparità genitoriale, avete mai sentito dire ad un neopapà “da quando è nato mio figlio non ho più tempo per fare una doccia?”

La seconda è una domanda alla giornalista: e i padri in questa guerra delle madri dove sono? Un punto di vista (femminista come dovrebbe essere?) che dimentica l’altra parte della coppia. Perché è vero che se ne esce ma se ne esce solo se si è in due.Il difficile in questo paese non è essere madri, è praticamente, burocraticamente, socialmente (continuo?) ed economicamente complicato essere una famiglia. Emotivamente è spesso entusiasmante. I partner ancora restii a condividere la fatica del lavoro di cura da chi sono stati scelti? Da me o dalle rispettive partner? Bello trincerarsi dietro le differenze culturali tra uomini italiani e nord europei, la cultura si “coltiva” partendo dal proprio orticello. Con gli uomini vale la tecnica della disseminazione dalla pianta madre e non lasciarli a maggese perché “poverini non sono capaci”. La fertilità della condivisione paritaria al 100% da uomo e donna va detta, ridetta, condivisa e urlata a gran voce, il vento della “novità” – sono fiduciosa – arriverà così in tutto il paese.

Il disvelamento della realtà della maternità ci ha aiutate è vero, ci ha fatto sentire meno sole, meno pessime madri, meno in colpa. La rottura di un tabù millenario, la narrazione della madre amorevole e tutta cuoricione e torte fatte in casa non ci appartiene più, era quella delle nostre madri che, ci scommetto, si chiudevano in camera a piangere di nascosto (noi lo facciamo con un vocale di 10 minuti all’amica). Ma ci ha sottratto un gran pezzo di normalità. Ci sta negando la possibilità di dire ogni tanto “oh che figata essere madri!”. Noi che ci sentiamo anche femministe (avercene di noi in questo paese!) proviamo vergogna a pensarlo, figuriamoci a dirlo.

Non prendetemi per democristiana, non consideratemi oscurantista, vorrei solo avere un atteggiamento positivo almeno per una volta, lo penso e lo dico che da madri si può essere felici. Nella nostra stanza abbiamo un grosso elefante, lo vedo bene ma ne considero anche la morbidezza, possiamo piacerci a vicenda se solo lo vogliamo.

Io credo nella maternità, ci credo un casino: cosa altro c’è di più folle al mondo?

Ci spiegano che la maternità è una guerra, va un po’ di moda adesso. Ci lamentiamo però che niente cambi affinché tutto rimanga uguale.

 

Categorized: lifestyle
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